Sanremo 2024. Terminata la 74° Edizione del Festival della canzone italiana di seguito qualche riflessione a freddo circa la musica, sempre più sullo sfondo o comunque messa a fuoco decisamente troppo male. Di quello che fino a 10 anni fa era ormai un vero “evento da boomer”, oggi si può dire che questa etichetta sia assolutamente ribaltata: allargando l’attenzione anche ad altri interessi oltre che alla musica (fantasanremo, chiacchiericci che invadono ogni programma TV dall’autunno, interviste e programmi in radio tra cui un Fiorello pazzesco) l’azienda Rai e Amadeus e staff, hanno lavorato per rendere l’evento decisamente nazional popolare. Di fatto diventato per tanti soltanto l’occasione buona per parlare di altro e fare altro. Sfido a trovare qualcuno di noi, che non abbia avuto almeno un solo conoscente che non si sia organizzato per vedere la finale di Sanremo con gli amici. Roba che partita della nazionale scansati proprio!
Tutto questo a costo però dell’ingrediente principale, chiaramente la musica, che acchittata all’occorrenza (per cui snaturata nella propria forma d’essere) deve necessariamente adeguarsi a logiche e compromessi economici di spettacolo, di brand, di politica e tanto altro. Nulla di nuovo, ma se l’acqua calda l’avevamo già scoperta dai tempi di Elvis Presley, pare non ci sia mai limite alle ustioni.
Di musica parlerò solo alla fine, è la cosa che vale meno anche in questo festival.
Sanremo si regge sulla politica
Un’azienda, quella della Rai, piegata e manovrata dalla politica soltanto perché si trova davanti artisti (pochi e male) che condividono (forse autenticamente, seppur in maniera moderata) il proprio pensiero, che sente di dover arginare questo fenomeno piuttosto che lasciare il coraggio di dare un nome a fatti veri (mi riferisco al termine “genocidio” usato da Ghali). Abbiamo comunque assistito ad una bella fetta di populismo a Sanremo, nel senso negativo del termine, davanti ad artisti (per nulla sociali e politici) che sentivano il bisogno di lanciare il proprio slogan dal palco, perdendo poi la chiave centrale della questione: la credibilità di sé stessi, prima ancora di ciò che affermavano.
Sanremo si regge sullo spettacolo
La Rai è un’azienda e per guadagnare deve fatturare. Non ci sono romanticismi che tengano poiché gli anni Sessanta sono finiti da sessant’anni! Pupa, Esselunga, Spotify, Mv Line, Netflix, Vera Lab, Poltronesofà l’indomabile Suzuki che insieme a Costa Crociere sono solo alcune delle aziende che hanno pagato mila se non milioni di Euro per comparire lì dove le abbiamo viste e, investendo, pretendono (si esatto pretendono!) che quanto comunicato arrivi a quanti più stanno guardando.
E se il pubblico non è abbastanza allora la spesa non vale l’impresa per l’azienda Rai, con una serie di accordi economici che si interromperebbero (e non solo per l’anno seguente). E nessuno mangia. Già da alcune settimane dall’inizio della gara, diversi siti di scommesse avanzano le proprie quotazioni su vincitori, terne podio o cinquine vincenti; le stesse quotazioni che cambiano in base a quanto e cosa accade ad ogni singolo artista prima del via della gara: un giro di soldi pazzesco.
Saremo si regge sulla dittatura della discografia
I testi dei brani di Sanremo sono puntualmente firmati dagli stessi autori per più brani in gara, per più festival di fila. Questo implica che per un’artista diventi necessario lasciarsi scrivere un testo (basta inserire una frase in realtà!) da chi ha sviluppato poter nel settore. Ma questo a sua volta, implica ancora che ci sia un accordo tra etichetta, manager, produttori e tutti gli addetti al settore. È necessario muoversi in tempo per spingere un proprio artista solo se è vendibile (presumibilmente giovane, bello/a, che esca già da un talent e chiaramente con migliaia di follower). Non esiste democrazia musicale nel 2024 piuttosto un’incredibile dittatura artistica di un sistema che finisce per diventare una lobby attorno a cui comanda chi scrive per poi produrre, per poi vendere e per poi guadagnare. Se hai il testo firmato da Tizio (e tutti gli altri 7-8 nomi che per scrivere una canzone direi che anche basta se la questione non fosse appunto legata al far mangiare più persone!), la musica di Caio e l’etichetta Sempronio – nonché sufficienti follower – allora forse ne possiamo parlare.
La musica e le canzoni
La musica muore nel buio. La discografia impera, impone, vende e specula sulle nostre scelte musicali e sui nostri ascolti dedicati o passivi. La dismisura tra chi ha il potere discografico e chi fa musica è inquantizzabile. C’è uno strapotere inviolabile di un sistema discografico impenetrabile che induce la distruzione e, nella maggior parte dei casi, la frammentazione del talento piuttosto che la valorizzazione (che accade poi in pochissimi casi, a scapito dei tantissimi penalizzati). Un cancro pervasivo di cui soffre ormai la musica italiana da anni che infetta la creatività, la naturalezza, la spontaneità, la profondità, il contenuto, e la bellezza delle canzoni come strumento potente che da forma all’arte. Basta guardare la fine che fanno (e che hanno fatto) numerosissimi ragazzi poco più che ventenni violentati artisticamente e abbagliati dalla popolarità del successo, per poi essere abbandonati sul ciglio della strada soli e delusi, da un sistema discografico che non mostra, e non mostrerà più, alcuna speranza né rispetto verso la loro unica colpa: aver creduto in un sogno.
Poche e tristi parole su quanto abbiamo ascoltato a Sanremo 2024
L’ascolto di quasi tutte le canzoni si ferma subito dopo la loro metà. Canzoni veramente brutte. Ma sul serio, quasi tutte brutte. Trenta canzoni (davvero troppe) racchiudono un’accozzaglia di un’ annacquato in cui si disperde anche quel poco che sarebbe, con la sola benevolenza di Nostro Signore ma non la mia, assolvibile. Nella cinquina (ovviamente young) finiscono artisti già famosi con record di vendite e attualmente top Spotify (Geolier, Annalisa, Angelina, Irama, Ghali). Predicatori in terra di infedeli rimangono purtroppo artisti come i Negramaro o come Diodato che non meritano alcun tipo di rilevanza dal momento in cui non rispecchiano quanto sopra riportato. Dispiace per altre piccole luci come Gazzelle e Santi Francesi, ma tanto anche lì non c’è storia.
Angelina Mango e Geolier
La prima è di talento con un pezzo poco alla Sanremo coperto da un’artisticità ben più spiccata, riesce a convincere la sala stampa che la premia, anche probabilmente grazie alla cover del giorno prima che tutt’ora è intendenza su YouTube. Sicuramente la sua è la storia perfetta: incredibile figlia d’arte di due artisti immensi. Ora difficilmente collocabile artisticamente, ma brava nel complesso.
Il secondo è “di razza”. Per Geolier, da “secondino” (ovvero “guardia carceraria”) ma anche da “secondigliano” (noto quartiere di Napoli) più che di competenza si può parlare di un artista al momento giusto al posto giusto, solo perché (o grazie al fatto di essere) di origini napoletane. Il brano è scritto male, non c’è né alcun tipo di vocalità né alcun tipo di interpretazione (ben altri cantanti napoletani riportano invece spiccato talento, Clementino su tutti). Raccoglie milioni di streaming e solo per questo (si, solo per questo!), meriterà in qualche modo di partecipare al Festival? Ma certo, e infatti arriva anche al secondo posto con il 60% del televoto da casa, il 60%! Le regioni sono tante e troppe, la cultura napoletana è diventata ormai (o per fortuna) di un’identità di scala nazionale (non si può pensare che siano interessati ad artisti così solo radio e ragazzi campani) sia nelle modalità, sia negli slang, sia nelle allusioni alla malavita, sia nel bel senso di bontà e familiarità tipica di un popolo artisticamente ricco. Tutto ciò ha un fortissimo impatto che a priori va premiato, specie se un cantante napoletano viene fischiato la sera prima da un pubblico di poco rispetto, ed è proprio lì che la Campania è insorta – ancora di più!
C’è poco altro da dire su Sanremo, o forse ogni tema meriterebbe un approfondimento? Non lo so.
Nel dubbio sento di condividere un messaggio di speranza, che è ciò che sento davvero: alla fine di tutto, non lasciamoci rubare le canzoni.