Sanremo 2025 è alle porte, e con esso torna l’attesa di milioni di spettatori che vedono nel Festival un’occasione di celebrazione della musica italiana. Tuttavia, ciò che appare come una competizione trasparente e genuina è ormai ben lontano dall’essere libero dalle logiche di mercato e dagli interessi di una ristretta scena élite. Da anni, dietro le quinte di Sanremo si muove una realtà dominata dalla cosiddetta “lobby degli autori”, un fenomeno che mina profondamente la creatività artistica, lo sviluppo personale dei cantanti e l’equità economica del settore musicale. Non è certo un segreto, è piuttosto un fenomeno purtroppo molto triste.
La monopolizzazione delle canzoni a Sanremo 2025
Il problema principale del Festival, e quindi anche di Sanremo 2025 , è la concentrazione delle canzoni in gara nelle mani di pochi autori “di fiducia”. Anche nel 2025, oltre il 65% dei brani in gara è stato scritto da un ristretto gruppo di professionisti, come Federica Abbate, Davide Simonetta e Paolo Antonacci o Davide Petrella. I nomi di questi autori ricorrono continuamente e sono associati a numerosi successi commerciali anche degli anni passati.

Un esempio emblematico è il brano “Incoscienti giovani” di Achille Lauro, scritto da Simonetta e Antonacci, un duo che ha firmato gran parte delle canzoni presentate negli ultimi anni. Un altro caso è “La tana del granchio” di Bresh, che vede la partecipazione di autori che hanno già monopolizzato altre edizioni del Festival. Ma quante teste servono mai per scrivere un testo di una canzone? Questa concentrazione soffoca la possibilità per giovani autori di emergere e porta a un appiattimento artistico: i brani risultano spesso simili tra loro, seguendo schemi commerciali piuttosto che riflettere il vissuto personale degli artisti.
Il Codacons qualche settimana fa, fa ha fatto un esposto all’Antitrust perché a Sanremo ci sono 11 autori che firmano il 70% dei brani in gara. Che stranezza. Un autore firma 7 canzoni, un altro autore ne firma 5, altri ancora ne firmano 4. Il Codacons vorrebbe indagare quindi, su questa specie di “casta discografica” che non è ovviamente una novità. Solo 2 brani sono composti da 1 autore. Come fa un brano a portare la firma di 7-8 autori e compositori diversi?
Il costo economico e il danno psicologico
La dinamica non è solo artistica, ma ha implicazioni economiche disastrose. La maggior parte delle royalties e dei proventi derivanti dai diritti d’autore va a un piccolo gruppo di autori, mentre gli artisti emergenti e indipendenti lottano per ottenere visibilità e risorse. Questo sistema accentua le disuguaglianze e limita la possibilità per nuovi talenti di costruire una carriera sostenibile nel mondo della musica a partire anche da Sanremo 2025.
Ma c’è anche un danno psicologico più sottile e spesso ignorato. Gli artisti, specialmente quelli giovani o alle prime esperienze, si trovano intrappolati in un sistema che nega loro la possibilità di esprimersi autenticamente. La creatività personale, che dovrebbe essere un processo psicologico liberatorio e un’occasione per dare voce ai propri vissuti interiori, viene sacrificata sull’altare delle logiche commerciali. Invece di sviluppare il proprio talento e identità artistica, i cantanti diventano semplici interpreti di brani costruiti a tavolino da altri.

Questo non solo mina l’autostima degli artisti, ma crea un ambiente competitivo tossico, dove il valore individuale sembra misurato solo in termini di successo commerciale per una crescente condizione d’ansia d’aspettativa. La pressione per conformarsi a queste dinamiche può portare a frustrazione e senso di inadeguatezza.
Sanremo potrebbe cambiare?
Sanremo, con il suo prestigio e la sua storia, ha il potenziale per tornare a essere un autentico trampolino di lancio per i talenti emergenti e una celebrazione della vera creatività musicale. Ma per farlo, è necessario un cambiamento profondo, che dovrebbe rivedere un sistema economico infallibile. E quando si parla di soldi, è sempre tutto troppo complicato.
È fondamentale limitare il numero di brani che ogni autore può presentare, incentivare la partecipazione di artisti e autori indipendenti e dare maggiore spazio a canzoni che nascono da un genuino processo creativo personale. Solo così il Festival potrà tornare a essere un evento in cui la musica, nella sua essenza più autentica, è protagonista.
Chissà se il festival abbandonerà mai le logiche di monopolio e tornerà a essere una piattaforma inclusiva, capace di valorizzare non solo il talento artistico, ma anche il coraggio psicologico di chi sceglie di raccontarsi attraverso la proprio musica.